Le elezioni appena svoltesi sono destinate a mutare consolidati equilibri di potere, in vigore in un paese che è stato guidato nell’ultimo decennio dal presidente Recep Tayyip Erdogan.

Domenica 31 marzo si sono svolte le elezioni amministrative in Turchia. 61 milioni di abitanti – sugli 85 totali – sono stati chiamati a votare per il rinnovo delle cariche amministrative in 81 provincie e più di 4000 città, tra cui Istanbul (la municipalità più popolosa e il cuore economico e culturale del paese), Ankara (la capitale politica) ed Izmir (importantissimo polo industriale ed economico). L’affluenza alle urne ha registrato una flessione rispetto alle precedenti elezioni, fermandosi al 78,7% contro l’84,6% del 2019[1].

Il Chp, il principale partito di opposizione – Kemalista[2] e di ispirazione laica e repubblicana – ha visto i propri candidati riconfermati a Istanbul, Ankara e nelle città affacciate sull’Egeo, riuscendo a guadagnare 12 municipalità oltre alle 14 mantenute dalle elezioni precedenti. L’Akp (il partito del presidente Erdogan) ha invece ottenuto buoni risultati nell’Anatolia centrale, sua roccaforte storica, pur perdendo alcune provincie a favore sia del Chp che del partito nazionalista Mhp (alleato dell’Akp). Il partito filocurdo Dem ha invece registrato buoni risultati nel sud-est del paese, aumentando il numero di provincie amministrate. Il voto si è svolto in un clima teso, e non sono mancati sporadici episodi di violenza, seppur limitati a poche aree rurali.

Analizzando i risultati definitivi di questa tornata elettorale, emergono alcuni fattori che saranno certamente importanti per comprendere la politica turca del prossimo futuro:

Ad Ankara il candiato del Chp Mansur Yavas ha ottenuto il 60,3% delle preferenze contro il 31,7% di Turgut Altinok dell’Akp, mentre ad Istanbul Ekrem Imamoglu (Chp), sindaco uscente e tra i principali leader dell’opposizione a livello nazionale, a spoglio ancora in corso aveva già accumulato un vantaggio impossibile da colmare per Murat Kurum, ex ministro dell’ambiente del governo Erdogan.

Questo risultato sembra ancor più sorprendente perché la vittoria del Chp arriva in un momento in cui l’opposizione non è riuscita a compattarsi; al contrario il partito guidato da Erdogan si è presentato alle urne in alleanza con l’Mhp, il partito nazionalista di Devlet Bahceli.

Secondo Soner Cagaptay[3], uno dei principali politologi turchi, è soprattutto la riconferma del Chp ad Istanbul da considerare come estremamente rilevante. Queste elezioni, infatti, sono assimilabili, per importanza, alle Elezioni di Mid-Term negli USA; Ed Erdogan era sceso in campo personalmente per la riconquista elettorale della città. Va ricordato che lui stesso, tra il 1994 ed il 1998, è stato sindaco di Istanbul, città dove è nato e che lo ha visto iniziare la propria carriera politica.

Ma Istanbul non ha solo una forte valenza simbolica. La città rappresenta un bacino elettorale ed economico fondamentale per gli equilibri domestici turchi, ed è tanto importante che lo stesso Erdogan ha spesso ripetuto che il controllo della Turchia passa dal controllo della città sul Bosforo.

I risultati deludenti ottenuti nelle urne dall’Akp secondo molti analisti vanno imputati soprattutto alla crisi economica che imperversa nel paese, e che ha portato l’inflazione a livelli altissimi (+67% a febbraio 2024). Il costante rinvio delle promesse elettorali e una politica economica di svalutazione della lira turca, ha falcidiato intere categorie sociali, come pensionati, lavoratori e disoccupati, che hanno quindi espresso un palese malcontento.

Erdogan, che ha ammesso in un comunicato stampa che i risultati elettorali dell’Akp sono stati inferiori alle aspettative, avrebbe voluto archiviare la vittoria e la riconquista delle principali città turche per avere campo libero su altri temi, come la riforma costituzionale che potrebbe permettergli di candidarsi per un ulteriore mandato dopo la scadenza dell’attuale nel 2028.

Sempre secondo Cagaptay, il fatto di avere ancora avversari “temibili” (o che vengono percepiti come tali) in grado di rendere la sua leadership vulnerabile potrebbe impedire al presidente turco di concentrare pienamente i propri sforzi sulla (ri)costruzione del ruolo internazionale della Turchia come potenza di primo piano in un’area altamente problematica: gli sforzi compiuti da Erdogan per intestare alla Turchia il ruolo di principale mediatore con la Russia, i rapporti con gli USA il loro impegno in Siria, i tentativi di “normalizzazione” dei rapporti con la Grecia, e, non da ultimo, la politica di “distensione” con la minoranza curda, andrebbero tutti in questa direzione.

Infine, dal risultato di queste elezioni amministrative, potrebbe dipendere la politica di Erdogan nel prossimo futuro: Il presidente turco, infatti, vorrebbe mettere la propria firma su provvedimenti ed azioni che lascino in eredità un’immagine da grande statista e figura unificante, da accostare ad Atatürk, il padre della Turchia moderna nata nel 1922; per far questo, avrebbe bisogno di muoversi liberamente sul piano interno, portando avanti una politica “distensiva”.

In caso contrario, potrebbe scegliere di polarizzare ulteriormente il clima politico per trovare legittimazione, sia su temi identitari (come il concetto di matrimonio, o la politica di “ottomanismo”), sia su temi di politica estera (il posizionamento della Turchia nella NATO ed i sentimenti antioccidentali che trovano sempre maggior spazio nell’opinione pubblica turca, anche per via della gestione poco efficace della crisi di Gaza da parte dell’Occidente, USA in testa).

Sullo sfondo di tutto questo, rimane la proposta di modifica della legge elettorale (con l’abbassamento della soglia per l’elezione a presidente al 40%) ed un mandato appena iniziato, che terminerà nel 2028.

Senza fare previsioni, insomma, l’appuntamento del 31 marzo è stato senza dubbio una data importante per la Turchia, che ne segnerà la politica del prossimo futuro.


[1] Fonte: quotidiano turco Daily Sabah e tv di Stato Trt.

[2] Corrente politica che si pone nella scia del fondatore della Turchia moderna Kemal Atatürk. Il Chp può essere considerato un partito di centro-sinistra con elementi nazionalisti.

[3] Storico e analista politico turco, direttore degli Studi Turchi al Washington Institute for East Policy.