With the confirmation of the death of the President, a new phase officially begins for the country, but in what way and with what time?
Fonti ufficiali iraniane hanno confermato la morte, domenica 19 maggio, del presidente della Repubblica Islamica Ebrahim Raisi. Il presidente dell’Iran stava rientrando in elicottero nella città di Tabriz dopo una visita ufficiale, quando, per cause ancora da chiarire, il convoglio su cui viaggiava assieme al ministro degli esteri Hossein Amir-Abdollahian è stato coinvolto in un incidente fatale.
Raisi aveva 63 anni ed era presidente dal 2021, in seguito alle elezioni che lo avevano visto vincitore con oltre il 72% dei voti (dati diffusi dal ministero dell’Interno). Ultraconservatore e molto vicino all’Ayatollah Ali Khamenei, Raisi era considerato anche un suo probabile successore.
Una lunga carriera
Politico di lungo corso, Ebrahim Raisi aveva ricoperto vari ruoli istituzionali in Iran: procuratore locale e poi viceprocuratore di Teheran, al termine della guerra Iran-Iraq (1980-1988) fece parte di una delle “commissioni della morte”[1], incaricate di epurare prigionieri ed oppositori politici. Fu poi Capo dell’Ufficio Nazionale di Ispezione (1994-2004), Vicepresidente della Corte Suprema (2004-2014) e Procuratore Generale (2014-2016). Dal 2019 al 2021 fu Presidente della Corte Suprema dell’Iran, fino a diventare poi Presidente della Repubblica.
In qualità di Presidente Raisi aveva ripreso il programma nucleare militare iraniano – che era stato interrotto dopo l’accordo PACG[2] del 2015 – come risposta all’uscita degli USA di Donald Trump dall’intesa nel 2018. Aveva poi attuato una feroce repressione del dissenso[3] interno dopo le proteste di piazza iniziate in seguito alla morte di Mahsa Amini. In politica estera aveva invece intensificato i rapporti con Russia e Cina e ristabilito rapporti diplomatici con l’Arabia Saudita, segnando un disgelo nelle relazioni bilaterali tra i due paesi. Raisi aveva anche lavorato per espandere l’influenza iraniana in Medio Oriente, soprattutto in Libano, dove si è ulteriormente intensificato l’appoggio dato ad Hezbollah, e in Yemen, paese in cui, sempre in chiave antisraeliana, la repubblica islamica appoggia e finanzia il gruppo sciita zaydita degli Houthi.
Il post-Raisi
Secondo l’articolo 131 della costituzione della Repubblica Islamica[4] dell’Iran, quando un presidente è incapacitato o muore durante il proprio mandato il Primo Vicepresidente – Mohammad Mokhber[5] – ne prende il posto, previa conferma della Guida Suprema (Ayatollah). Un consiglio composto dal Primo Vicepresidente, dal Presidente del Parlamento e dal Capo della Magistratura deve organizzare quindi le elezioni del nuovo presidente entro 50 giorni.
Spetterebbe quindi ad Ali Khamenei, in qualità di Ayatollah[6], avere l’ultima parola sulle sorti del paese in questo frangente. Un cambiamento politico radicale sembra dunque da escludere, almeno nel breve lasso di tempo necessario per andare a nuove elezioni.
La morte del presidente iraniano pone anche diverse questioni, a cominciare dalla successione all’85enne Khamenei come Guida Suprema. Nella complessa struttura politica iraniana, sembrava che fosse proprio Raisi il favorito a questo incarico, ma recentemente è stato fatto il anche nome di un altro contendente, lo stesso figlio di Khamenei, Mojtaba. La morte improvvisa di Raisi aprirebbe ora a quest’ultimo le porte verso la carica più alta dell’Iran. Il rischio è che questo crei un precedente ereditario che nel paese rievoca i tempi dello Shah: non a caso i leader della Rivoluzione Islamica del 1979 si opposero fermamente a qualsiasi forma di ereditarietà delle cariche. A questo si aggiunga che Mojtaba, non ricoprendo alcuna posizione di governo e non essendo una figura pubblica, dovrebbe costruirsi una propria popolarità praticamente ex-novo. Una nomina familistica potrebbe causare un danno d’immagine, insomma, incrinando il supporto delle masse che legittimano l’attuale sistema religioso.
Quali conseguenze per l’Iran?
Difficile prevedere quali saranno le conseguenze della scomparsa di Raisi sulle relazioni diplomatiche dell’Iran con il resto della regione: il perseguimento di una politica estera più audace e rivolta al raggiungimento di maggiore influenza, assieme al rafforzamento dei rapporti con i paesi arabi del Golfo – per lungo tempo considerati ostili – sono sicuramente obiettivi che, chiunque prenderà le redini del paese, continuerà a perseguire. Ma uno scacchiere internazionale in continua evoluzione, e, soprattutto, una politica in fermento sia su temi economici (con una crisi “autarchica” che si trascina da tempo) che sui temi sociali e riguardanti le libertà civili, potrebbe richiedere un cambio di passo al nuovo leader.
[1] I principali obiettivi delle commissioni e delle esecuzioni, che durarono 5 mesi, erano i membri dell’Esercito di Liberazione Nazionale dell’Iran, oltre che prigionieri politici di altre organizzazioni di sinistra come il Partito Comunista Iraniano Tudeh. Si stima che vennero uccisi tra gli 8.000 e 30.000 oppositori.
[2] Joint Comprehensive Plan of Action: https://www.undocs.org/Home/Mobile?FinalSymbol=S%2FRES%2F2231(2015)&Language=E&DeviceType=Desktop&LangRequested=False
[3] Si stima che negli scontri siano stati uccisi circa 500 manifestanti, mentre altri 20mila siano stati arrestati.
[4] https://web.archive.org/web/20161027004409/https://en.parliran.ir/eng/en/Constitution
[5] Ex ufficiale del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica ed ex capo dell’agenzia che gestisce i beni della Repubblica Islamica.
[6] Quello di Guida Suprema (Velayat-e Faqih nella teologia islamica sciita) è un ruolo istituito dopo la Rivoluzione Islamica del 1979, che comprende gli incarichi di Capo dello Stato e Comandante in Capo. Secondo la legge islamica iraniana, questa posizione deve essere assegnata ad un Ayatollah.
