Intervista a Laura Iucci, Head of Unit Private Sector Partnership Italy presso UNHCR, the UN Refugee Agency.
Stando all’ultimo Global Compact on Refugees[1] gli effetti del COVID-19, della crisi climatica e dei numerosi conflitti mondiali hanno avuto un impatto tremendo sul numero e sulla condizione dei rifugiati: in particolare il loro numero è più che raddoppiato tra 2016 e 2022, arrivando a 34.6 milioni di persone. A questi numeri, vanno aggiunte le vittime delle crisi più recenti. Quali sono le previsioni e le speranze dell’UNHCR per il 2024?
Secondo le nostre stime, oggi nel mondo ci sono 114 milioni di persone in fuga da conflitti e violenze. Una persona al mondo ogni 200 è un rifugiato, un numero che è raddoppiato in soli 2 anni. Nell’ultimo anno abbiamo assistito a un aumento vertiginoso delle emergenze, con lo scoppio di nuove crisi e il deterioramento di quelle irrisolte. Che siano scatenate da conflitti, violazioni dei diritti umani, disastri naturali, eventi meteorologici estremi, queste emergenze hanno provocato un’ondata di persone in fuga, lasciando decine e decine di milioni di persone e famiglie nel più disperato e urgente bisogno di assistenza umanitaria e protezione. L’aumento vertiginoso dei prezzi dell’energia e delle materie prime, soprattutto alimentari, dovuto all’invasione dell’Ucraina, sta avendo ripercussioni fortemente negative sulle comunità di rifugiati e sfollati, già molto fragili, aumentandone ulteriormente la vulnerabilità. L’impatto socioeconomico a lungo termine della pandemia COVID-19 è ancora particolarmente forte, in particolare sui bambini. La crisi climatica sta causando disastri più frequenti, intensi e imprevedibili in tutto il mondo: temperature estreme, tempeste e inondazioni. Milioni di sfollati e apolidi vivono in zone vulnerabili al clima, ma non hanno le risorse necessarie per adattarsi e ne sono colpiti in modo sproporzionato. La tendenza alla crescita delle emergenze registrata nel 2023 sembra destinata a persistere per tutto il 2024; se ciò si confermerà, si prevede che il numero di persone costrette alla fuga salirà a 130 milioni entro la fine dell’anno. La necessità di solidarietà e sostegno verso le persone che hanno perso tutto e sono costrette a fuggire non è mai stata così urgente e importante come oggi.
La condivisione di oneri e responsabilità è un principio determinante, ribadito dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 2018. Questo principio implica il riconoscimento che la situazione dei rifugiati e dei paesi che li ospitano è una responsabilità comune dell’umanità intera. Sono però passati più di cinque anni da allora e la situazione internazionale sembra essere peggiorata. L’UNHCR ha individuato 4 obiettivi[2] da raggiungere per governare il fenomeno, a che punto è la road map su questo tema?
Come emerge nel rapporto sugli indicatori del Patto Globale sui Rifugiati 2023, ci sono certamente dei progressi sui quattro obiettivi chiave, ovvero alleggerire la pressione sui Paesi ospitanti, migliorare l’autosufficienza dei rifugiati, ampliare l’accesso alle soluzioni dei Paesi terzi e sostenere le condizioni nei Paesi d’origine per i ritorni in sicurezza e dignità. Rispetto agli impegni assunti nel 2019 e confrontando i dati attuali con quelli emersi nella prima edizione del report del 2021, un numero maggiore di rifugiati ha beneficiato dell’accesso all’istruzione, di opportunità economiche, reinsediamento e percorsi complementari. Non è un risultato da poco. Ma lo studio evidenzia anche quanto lavoro ci sia ancora da fare per rendere il Global Compact on Refugees e i suoi obiettivi una realtà per tutti e non solo per alcuni. La condivisione delle responsabilità rimane altamente iniqua: il 55% dei rifugiati è ospitato in soli 10 Paesi. I bisogni delle persone costrette alla fuga continuano a superare le soluzioni, anche per quanto riguarda i ritorni volontari e i finanziamenti disponibili. Le risorse finanziarie a disposizione sono insufficienti e le gravi conseguenze di questo gap riguardano non solo le persone in fuga ma anche le comunità e i Paesi che li ospitano. È evidente che per affrontare questa sfida non esistono ricette magiche, ma serve uno sforzo comune che coinvolga tutti gli attori in campo. L’Italia comunque conferma il suo ruolo di leader a livello internazionale sul tema dei percorsi regolari di accesso al territorio tramite i corridoi umanitari, universitari, il reinsediamento e il nuovo importante impegno in tema di corridoi lavorativi. Fra gli impegni del “Sistema Italia”, vanno ricordati il programma Welcome. Working for refugee integration che favorisce l’integrazione delle persone rifugiate nel mercato del lavoro promuovendo il più ampio coinvolgimento del settore privato, della società civile e delle istituzioni, attraverso il quale sono stati attivati più di 30.000 percorsi di inclusione lavorativa e Unicore, University Corridors for Refugees, un programma che coinvolge 42 atenei che hanno offerto, negli ultimi 5 anni, oltre 2.000 borse di studio a studenti rifugiati, dando la possibilità di arrivare in Italia in maniera sicura per frequentare corsi di laurea di due anni.
L’UNHCR si trova, purtroppo, a gestire emergenze nuove e diversificate ogni anno, ma non solo: spesso ci sono emergenze che si ripresentano ciclicamente. Una di queste è sicuramente legata al freddo e alle condizioni climatiche proibitive che i rifugiati devono affrontare nei campi. In quali zone di crisi l’inverno impatta maggiormente e quali strategie di medio-lungo periodo possono essere prese per porre rimedio alla situazione?
Per UNHCR una delle priorità annuali è l’assistenza specifica per l’inverno ai rifugiati e agli sfollati che vivono in zone dove le temperature possono scendere di parecchi gradi sotto lo zero. Per loro, infatti, durante il periodo invernale le sofferenze e le difficoltà aumentano esponenzialmente. La stagione fredda comporta per tutte le famiglie un drastico aumento delle spese per soddisfare bisogni essenziali come il riscaldamento per chi vive in appartamento o il carburante o l’energia per le stufe, ma anche per gli abiti invernali, le medicine e ovviamente il cibo. Per moltissime famiglie vulnerabili questi costi sono letteralmente insostenibili anche alla luce dei vertiginosi rincari dell’energia e delle materie prime generati dal conflitto in corso in Ucraina. Per l’inverno scorso abbiamo identificato 4,7 milioni di persone che necessitavano di assistenza in 8 Paesi: Afghanistan, Egitto, Giordania, Iran, Libano, Pakistan, Siria e Ucraina. Abbiamo portato a termine un piano di aiuti che includeva, fra le altre cose, le riparazioni delle abitazioni danneggiate dai bombardamenti attraverso l’isolamento termico delle case da vento, pioggia e gelo, un problema particolarmente grave ad esempio in Ucraina. Abbiamo fornito beni essenziali come coperte, abiti invernali e stufe e garantito assistenza economica diretta, ovvero contributi in denaro per le famiglie vulnerabili rifugiate o sfollate. È uno strumento che prima di tutto tutela la dignità delle famiglie e assicura loro la libertà di scegliere cosa comprare.
Non solo conflitti appunto, ma anche cambiamenti climatici e catastrofi naturali: l’UNHCR è presente in teatri dove ci sono emergenze di ogni tipo, basti pensare al recente e catastrofico terremoto in Turchia. Come si è evoluta la situazione della popolazione in quel teatro operativo, e soprattutto, quanto è ancora difficile la situazione in Siria, paese limitrofo che soffre non solo per quel terremoto, ma per ben 13 anni di guerra civile ininterrotta?
Purtroppo, a tredici anni dal suo scoppio, l’emergenza in Siria continua e si fa sempre più grave. Più di 12 milioni di donne, uomini e bambini sono fuggiti dalle loro case in cerca di sicurezza, dentro e fuori la Siria. 16,7 milioni di persone all’interno del Paese hanno bisogno di assistenza umanitaria, si tratta del numero più alto di persone che necessitano di aiuti dall’inizio della crisi. La situazione economica è sempre più disastrosa, si stima che il 90% della popolazione viva al di sotto della soglia di povertà. I terremoti del febbraio 2023 hanno ulteriormente aggravato la situazione in Siria, colpendo circa 8,8 milioni di persone. Le infrastrutture e l’economia, già deteriorate dopo 13 anni di violenze, sono state ulteriormente danneggiate. Circa 230.000 persone colpite dal terremoto sono ancora sfollate e vulnerabili, molti vivono in condizioni di profonda povertà e disperazione. Ma la situazione è disastrosa non solo per gli sfollati interni in Siria ma anche per i milioni di rifugiati registrati nei Paesi limitrofi – la maggioranza in Libano, Giordania, Iraq, Egitto e Turchia. Fra questi, il numero di quelli in grave difficoltà ha raggiunto un livello senza precedenti dall’inizio della crisi. La regione è alle prese con un aumento vertiginoso della povertà, della disoccupazione, della mancanza di sicurezza e di instabilità. Oltre 19 milioni di persone nei Paesi limitrofi, tra rifugiati e comunità ospitanti avranno bisogno di una qualche forma di assistenza umanitaria nel 2024. Oltre il 47% dei rifugiati siriani nella regione sono bambini.
Secondo lei è possibile passare dalla gestione emergenziale delle conseguenze di un conflitto o di una crisi al suo superamento in tempi ragionevolmente brevi, e di cosa ci sarebbe bisogno per mettere in atto eventuali soluzioni di lungo periodo se non definitive?
Sicuramente le soluzioni ci sono, richiedono un paziente lavoro da parte della comunità internazionale, nello spirito di solidarietà e condivisione delle responsabilità che ha inspirato anche il Global Compact sui rifugiati e che ricordavamo prima. Ma a monte di tutte le proposte e possibili soluzioni c’è un punto imprescindibile: porre fine alle guerre rappresenta il migliore e unico antidoto alle migrazioni forzate. Da troppi anni ormai siamo costretti ad assistere a una tendenza che non conosce alcuna inversione e che l’Alto Commissario ONU per i Rifugiati Filippo Grandi ha così sintetizzato: “Ci sono persone troppo veloci a fare la guerra e troppo lente a trovare le soluzioni”.
Una parte non indifferente del bilancio per le attività operative dell’UNHCR deriva da attività di Fundarising: come funziona la raccolta fondi UNHCR e quanto incide nel reperimento dei fondi per la gestione delle emergenze?
Guardando al 2022, sull’importo totale dei contributi volontari ricevuti, pari a 5 miliardi e 851 milioni di dollari, a fronte di una richiesta complessiva di oltre 10 miliardi di dollari, il sostegno dei donatori privati ammonta a 1 miliardo e 246 milioni di dollari, ovvero è pari al 21% dei fondi ricevuti. Poiché molti fra questi risultati sono stati determinati dalla generosa risposta dei donatori alla situazione in Ucraina, sono necessarie ulteriori analisi e tempo per verificare se si tratta di tendenze sostenibili. È importante ricordare che l’UNHCR è un’organizzazione needs based. Per questo, i budget per gli interventi vengono costruiti sulla base dei bisogni identificati in ciascun Paese. Esistono due tipologie principali di raccolte fondi, la prioritaria per UNHCR è quella di natura economica che ci permette di raccogliere fondi per la programmazione e l’implementazione dell’attività umanitaria in tutto il mondo. I privati possono contribuire anche attraverso la donazione di beni da distribuire direttamente a rifugiati e sfollati, la disponibilità di articoli conformi a precisi requisiti di qualità e considerati prioritari sulla base degli interventi programmati ci permette di rispondere efficacemente ai bisogni dei rifugiati, soprattutto nei contesti di emergenza. Si può donare in modo flessibile, sostenendo in tal modo l’UNHCR nel fronteggiare ogni emergenza laddove dove c’è più bisogno oppure decidere di devolvere dei soldi in un ambito specifico, ad esempio l’istruzione o richiedere che i soldi siano devoluti per un Paese in particolare, senza specificare l’ambito dove possono essere collocati. Ci sono infine dei fondi destinati a Paesi e ambiti specifici. I fondi raccolti attraverso le donazioni flessibili sono particolarmente importanti perché consentono all’organizzazione di utilizzare le risorse dove ci sono le maggiori necessità e soprattutto per le crisi che non sono più al centro di attenzione mediatica. Vanno inoltre a contribuire a un fondo che permette all’UNHCR di intervenire tempestivamente in casi di emergenza.
Oltre ad occuparsi dei rifugiati, l’UNHCR si occupa anche della gestione dei cosiddetti sfollati interni, ossia i civili costretti a fuggire da guerre o persecuzioni che, però, non attraversano un confine internazionale riconosciuto. Restano quindi all’interno del Paese di origine. Quali progetti soprintende l’UNHCR per favorire la formazione e il reinserimento degli sfollati interni nel tessuto sociale ed economico del proprio paese?
Dei 114 milioni di persone in fuga forzata, almeno 62,2 milioni sono sfollati interni, ovvero bambini, donne e uomini che sono stati costretti a lasciare la loro casa per via di violenze, conflitti o per gli effetti del cambiamento climatico, ma a differenza dei rifugiati non hanno attraversato un confine internazionale riconosciuto e sono rimasti all’interno del loro Paese d’origine. Nella prima metà del 2023, sono stati registrati 6,8 milioni di nuovi sfollati, l’83% dei quali nell’Africa subsahariana. L’impegno per gli sfollati interni è un elemento fondamentale delle nostre operazioni in tutto il mondo in materia di protezione nelle crisi umanitarie. Ci prepariamo proattivamente per affrontare e rispondere alle emergenze che costringono le persone a lasciare le loro case. In Ucraina, ad esempio, un Paese nel quale ad oggi sono presenti quasi 3 milioni e 700 mila sfollati interni, soltanto nel 2024 abbiamo raggiunto e assistito 450 mila persone con servizi di protezione, beni di prima necessità, aiuto economico diretto. Ma l’assistenza agli sfollati comprende anche la fase post-emergenza e include fra le altre cose, ad esempio, il sostegno per l’accesso all’istruzione, la formazione, il supporto per le attività generatrici di reddito e inclusione lavorativa.
Per chiudere, come definirebbe la situazione globale rispetto al 2009, anno in cui ha assunto il suo attuale ruolo in UNHCR?
Alla fine del 2010, le persone in fuga da conflitti e persecuzioni erano 43,7 milioni, oggi questo numero è quasi triplicato. Nel 2023 abbiamo dichiarato 43 emergenze umanitarie in 29 Paesi, mai così tante negli ultimi 10 anni. Le persone costrette a fuggire sono una diretta conseguenza del fallimento nel garantire pace e sicurezza. Ogni nuova crisi sembra spingere le precedenti in un pericoloso oblio e l’effetto di questa mancanza di attenzione mediatica si riflette in un calo delle donazioni, con il risultato che le crisi prolungate finiscono per aggravarsi, come in un vero e proprio circolo vizioso. Come ha ricordato di recente il nostro Alto Commissario Filippo Grandi al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, agli operatori umanitari viene chiesto di raccogliere i pezzi e di aiutare sempre più persone in sempre più luoghi. Ci viene chiesto di andare avanti più a lungo e di cercare di tenere insieme più cose, mentre poco si fa sul piano politico per ottenere la pace. Sicuramente non ci arrenderemo, anche quando sarà ancora più difficile. Ma ci viene chiesto di fare sempre di più con meno risorse a disposizione. Se da un lato infatti aumentano i conflitti, le violenze e le persone in fuga, i fondi per gli aiuti diminuiscono, costringendoci a fare delle scelte impossibili e mettendo a rischio la fattibilità di molte operazioni umanitarie. Mai come in questo momento c’è bisogno di tutta la nostra solidarietà e generosità verso milioni di sfollati e rifugiati che hanno perso tutto.
[1] Global Compact On Refugees Indicator Report per il 2023: https://www.unhcr.org/media/2023-global-compact-refugees-indicator-report
[2] Gli obiettivi individuati dall’UNHCR sono i seguenti:
Objective 1: Ease Pressure on Host Countries;
Objective 2: Enhance Refugee Self-reliance;
Objective 3: Expand Access to Third Country Solutions;
Objective 4: Support conditions in countries of origin for return in safety and dignity.
